Due decine sono le famiglie ucraine arrivate a Modena nel mese di settembre. Numeri molto ridotti, se consideriamo le cifre raggiunte nelle prime settimane di emergenza, con oltre cento persone che ogni giorno arrivavano nel nostro territorio in fuga dalla guerra in Ucraina. Numeri che indicano la stabilizzazione di un’emergenza, almeno in parte e che facilitano, sempre in parte, possibili riflessioni su un’esperienza anomala: quel venire a meno degli arrivi con la guerra ancora in corso e una pace lontana. Perché precoce è ancora il dialogo fra le parti, fin troppo ripiegate su posizioni strategiche, lontane dalla vita delle persone. Precoci sono anche quei viaggi di ritorno in terre ucraine: i viaggi di chi va incontro ai propri cari e vuole tentare di ricostruire il tessuto economico e relazionale delle proprie città.
Restano ancora mille persone nella nostra città. Altre 2000 sono distribuite in Provincia, secondo i dati proposti da Fausto Stocco, funzionario del Comune di Modena e da Elisabetta Bulgarelli, del Centro Stranieri, con i quali abbiamo parlato delle prospettive di un’emergenza che fa da specchio ad altre emergenze di tipo sociale, economico e ambientale, che sono anche le nostre.
Per Fausto Stocco, «le persone ucraine arrivate nel nostro territorio rappresentano una tipologia diversa rispetto a quella della marginalità con cui la rete dei servizi ha spesso a che fare». Questo genera «una dissonanza tra l’offerta dei servizi e le esigenze che soprattutto le nuove famiglie riportano, probabilmente dovuta all’elevato livello di autonomia di queste ultime - circa il 90% è accolto dalla propria rete parentale o amicale o da bisogni che sono fuori dalla nostra portata e che saranno da rilevare in futuro» sottolinea Stocco. Da segnalare anche la spinta di molte persone per tonare a casa, come evidenzia Elisabetta Bulgarelli: «Tale fenomeno non si era verificato neppure durante la Guerra nei Balcani, a fine anni Novanta: ci sembrava improbabile che ci fosse un ritorno così consistente già nei mesi di aprile e maggio. Si tratta però di una migrazione forzata, molto orientata al ritorno ». Un altro dato di discontinuità ha riguardato «la gestione dei minori non accompagnati, di cui non ci occupavamo e che ha richiesto l’implementazione di un sistema di raccolta dati in corso d’opera, prendendo accordi con la Questura, rintracciando uno ad uno i minori e i loro eventuali accompagnatori ». Per Bulgarelli, «due elementi rilevanti della prima fase sono stati l’attivazione della questura, che nell’agevolare le procedure ha facilitato l’integrazione di molte famiglie, e l’attivazione della società civile, che è stata capace di accogliere l’altro, di immedesimarsi nelle sue sofferenze”.
In questa cornice s’inserisce «il lavoro integrato con Caritas diocesana, che ha raccolto le disponibilità di molte famiglie disponibili ad accogliere, avviando itinerari di incontro e conoscenza tra famiglie ospitanti e persone rifugiate: percorso che ha facilitato l’allestimento della rete governativa di accoglienza, che richiede del tempo per essere attuata», come racconta Fausto Stocco nel descrivere l’accoglienza diffusa, un «modello che può essere replicabile in presenza di un adeguato processo di accompagnamento, inclusione e monitoraggio dell’esperienza».
Processi che possono essere rafforzati grazie ad una équipe che coinvolge diversi attori sociali e istituzionali e che si rinnova l’anno prossimo con l’obiettivo di facilitare l’inclusione di persone che provengono da altre realtà geografiche e culturali (come lo sono alcune famiglie turco-curde arrivate dalla Rotta Balcanica). Una rete istituzionale che non può fare a meno dell’impegno di persone e famiglie di buona volontà, che in questo tempo hanno saputo rispondere con gesti di pace, al fenomeno della guerra: turpe e bestiale cospirazione contro la vita, parafrasando il Prospero di Shakespeare[1].
[1] Edizione dell’11 dicembre 2022, p. 5.
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