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  • Estefano Tamburrini

Una comunità aperta e inclusiva

Giovedì e venerdì scorsi l’opera-segno di Caritas diocesana ha aperto le sue porte alle istituzioni e alla cittadinanza

Era l’11 maggio 2007 quando, presso la Cattedrale di San Paolo, il papa emerito Benedetto XVI affermava che «i poveri sono i destinatari privilegiati del Vangelo». Parole, queste, rafforzate da papa Francesco nell’esortazione apostolica Evangelii Gadium, dove si sottolinea che «non devono restare dubbi né sussistono spiegazioni che indeboliscano questo messaggio tanto chiaro» (n.48). Secondo il Pontefice, siamo tenuti ad «affermare, senza giri di parole, che esiste un vincolo inseparabile tra la nostra fede e i poveri». Vincolo sempre più difficile da riconoscere in un contesto dove la questione sociale, già riconosciuta da Paolo VI come «questione morale» nella Popolorum Progressio, non è più presa in considerazione nel discorso pubblico o nei circuiti decisionali. Ciò si può notare nell’assenza di politiche di contrasto alle disuguaglianze o, addirittura, nella tendenza a rimuovere i più fragili dall’agorà, ossia dal centro dei rapporti sociali, economici e culturali della città.

Tale tendenza dà vita a una pratica dell’umiliazione che consiste nel non venire trattati da essere umani a pieno titolo, come afferma Avishai Margalit ne La società decente (1998); «nell’assicurare ad alcuni ciò che non si assicura agli altri, sia nella distribuzione stessa di beni e diritti» generando nuove forme di subalternità e ingiustizia sociale.

Quella dell’umiliazione è una pratica che Caritas diocesana ha proposto di contrastare attraverso «Legami che liberano» (2017-2020), progetto 8xmille Cei nato in collaborazione con i Servizi sociali territoriali con l’obiettivo di costruire legami tra le persone fragili e la comunità con la finalità di potenziare le risorse dei singoli. È a partire da questo progetto che nasce il Centro Papa Francesco, situato in via dei Servi 18, nel centro storico della città di Modena. Una scelta urbanistica fortemente voluta dall’arcivescovo Erio Castellucci e sostenuta dai Servizi sociali territoriali. In continuità con questo desiderio, giovedì 16 e venerdì 17 giugno, il Centro Papa Francesco ha aperto le sue porte alla città.

Giovedì 16 giugno, il vicario generale don Giuliano Gazzetti, la direzione e gli operatori di Caritas diocesana hanno incontrato i Servizi sociali ter- ritoriali, le cooperative ed altre realtà sociali che, durante questi anni, hanno collaborato attivamente nelle proposte di Caritas diocesana. Il giorno dopo invece, il Centro Papa Francesco ha aperto le sue porte ai singoli cittadini, proponendo loro delle esperienze laboratoriali, momenti di confronto e condivisione. Una due-giorni organizzata al fine di restituire gli esiti della collaborazione tra Chiesa e Comune di Modena nella progettazione dei percorsi di accoglienza e di coinvolgere la cittadinanza tutta intorno a questo progetto.

Qui il senso del titolo «Io C’entro», che evoca la responsabilità della comunità locale, chiamata ad accogliere, accompagnare e «rimuovere gli ostacoli» che «impediscono il pieno sviluppo della persona umana» parafrasando l’articolo 3 della nostra costituzione. Nel riconoscere che «i poveri sono destinatari privilegiati del Vangelo», possiamo dire con certezza che non dare loro «parte dei propri beni» equivale a rubarli, a «privarli della loro stessa vita; e quanto possediamo non è nostro, ma loro». Queste parole di san Giovanni Crisostomo, che confermano l’inseparabilità del vincolo tra fede e poveri e richiedono scelte coraggiose.

Si tratta di avviarci verso un nuovo paradigma smettendo di «nuotare nella paura dell’incontro con la realtà e con il conflitto; nella paura dell’imprenditività», come dichiarato dal vicedirettore di Caritas diocesana Federico Valenzano durante l’incontro di giovedì 16 giugno con le istituzioni. «Legami che liberano ci ha permesso di generare progettazione sociale. Quest’ultima serve ad evitare sia delle progettazioni troppo legate all’ideale e poco aderenti alla realtà, sia degli interventi sui singoli casi che tengono poco conto del contesto sociale».





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