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  • Federico Valenzano

"Il male non ha e non avrà mai l'ultima parola"

Aggiornamento: 10 nov 2022

Questo articolo racconta l'incontro testimonianza che si è tenuto lunedì, 7 novembre, presso la Parrocchia di San Paolo e nel quale sono intervenuti Agnese Moro e Franco Bonisoli: entrambi protagonisti di un percorso di mediazione facilitato da Padre Guido Bertagna. L'incontro, moderato da Pier Luigi Cabri, testimonia i frutti di un itinerario di giustizia riparativa: prassi che coinvolge vittime, autori di reato e un mediatore nella cura delle ferite che ogni reato produce sulla comunità. Una prassi in continuità con il mandato e l'azione pastorale di Caritas diocesana.

“Dar vita a una nuova cultura della giustizia: non ancorata a corpi di norme, ma capace di avviare un percorso di ascolto e silenzio insieme all’altro. Tale percorso richiede la condivisione di un vocabolario, di parole in comune, che ci aiutino ad andare in profondità, divenendo capaci di reggere degli urti” dichiara padre Guido Bertagna SJ, già presidente del Centro culturale San Fedele di Milano, per introdurre l’incontro “Il male non ha e non avrà l’ultima parola” svoltosi lunedì scorso, 7 novembre, presso la Parrocchia San Paolo in presenza di oltre 200 persone; e moderato da Pier Luigi Cabri, docente dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose dell’Emilia (ISSRE).

È stato padre Bertagna a far incontrare Agnese Moro, figlia dello Statista ucciso nel maggio 1978, e Franco Bonisoli, tra gli autori principali di una pagina difficile – mai del tutto elaborata – di storia repubblicana: quella degli anni di piombo, che hanno diviso e ferito il Paese.

Entrambi sono testimoni di un percorso di giustizia riparativa, che ha visto coinvolte circa una ventina di persone e che si fonda sui principi di confidenzialità, volontarietà e non giudizio.

Questi percorsi, accompagnati da figure di mediatori come padre Bertagna, prevedono momenti di dialogo e condivisione tra i partecipanti.

Una condivisione di memorie che coinvolge vittime, autori di reato e cittadini provenienti da realtà differenti: “storie diverse, ma accomunate da solitudini profonde e dall’incomunicabilità causata da quel dolore, dal cristallizzarsi delle ferite con il passare del tempo” prosegue Padre Bertagna.

Agnese Moro apre il proprio intervento interrogandosi “ci si può chiedere: che cosa può volere una persona che ha già avuto tutto dalla giustizia penale? Che ha visto i mandanti dell’omicidio di suo padre scontare la propria pena?”

Per Moro, queste misure restrittive non sono servite a guarire le ferite provocate dalla perdita di suo padre, le quali si erano cristallizzate nel tempo rischiando – senza il suo volere – di ripercuotersi sui propri cari, di produrre altre ferite su coloro che le stavano vicino.

Ferite, tutte, acuite dall’incomunicabilità: quella sensazione di non riuscire a esprimere il proprio dolore neppure con altri famigliari delle vittime.

Prima dell’incontro con padre Bertagna “nessuno si era interessato al mio dolore, erano passato 31 anni dalla morte di mio padre e vivevo una dittatura del tempo” aggiunge Moro ricalcando il valore di “guardarsi nei volti, dedicarsi uno spazio di ascolto, uno spazio che dura nel tempo e che ti permette di liberare anche i ricordi più belli, quelle fotografie non più sporche di sangue”.

Un percorso intrapreso insieme a Franco Bonisoli, che racconta le motivazioni che lo hanno condotto ad “abbandonare tutto per seguire i miei ideali, cercando di trasformare la società abbattendo una struttura ingiusta per costruire un mondo più giusto”. Con il passare del tempo “ho realizzato che tradivo gli ideali a cui credevo ogni volta che facevo uso della violenza: una crisi di appartenenze nata proprio nel carcere e che ho condiviso con Alberto Franceschini”.

“Ho incontrato Agnese dopo aver assolto il mio debito con la giustizia italiana” racconta Bonisoli “il mio era un problema di coscienza, volevo entrare in dialogo ed essere ascoltato: e non mi aspettavo il livello di comprensione che ho trovato in Agnese, quell’ascolto di cui avevamo bisogno anche negli anni Settanta”. Un tentativo, per Bonisoli, “di superare quel senso di colpa che ti incatena al passato, trasformarlo in responsabilità e, dov’è possibile, raccontare il valore di una sconfitta che ha il sapore di una vittoria: la vittoria di pone fine alla violenza”.


Per Caritas diocesana si è trattata di un'occasione per continuare a promuovere, diffondere e valorizzare il paradigma di una giustizia volta a riparare le ferite che il reato produce sia sulla vittima che sulla comunità.

Quest'ultima custode e protagonista di un percorso che coinvolge vittime, autori di reato e persone di buona volontà nel ricostruire, insieme, il patto di fraternità che era stato infranto tramite il reato.


L'azione di Caritas diocesana

Dal 2018, il Centro Papa Francesco ha ospitato persone che hanno vissuto l'esperienza del carcere con l'obiettivo di restituire loro parola e facilitarne una partecipazione attiva nella comunità; ed è stato sede di itinerari di mediazione condotti dall'Associazione Anfora.

Altrettanto importanti i percorsi di messa alla prova avviati in collaborazione con l'UEPE e tradotti in esperienze formative e di volontariato beneficio della cittadinanza. Un orientamento rafforzato dalla Convenzione firmata in data 17 aprile 2022 dall'Arcidiocesi di Modena-Nonantola e dalla Casa circondariale di Sant'Anna con la finalità di promuovere l'inclusione sociale delle persone detenute attraverso lavori di pubblica utilità.

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