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  • Caritas Modenese

Fiducia nella città, i poveri come risorsa di Speranza

Aggiornamento: 9 apr 2021

Ri-costruire contesti che consentano esperienze di ri-conoscenza reciproca in tempo di Covid


Fiducia nella città”: non solamente un auspicio o una convinzione, ma un progetto pastorale. Il progetto di Caritas Modenese per il 2021. Tra gli obiettivi, la ricerca dei fattori che possono facilitare la costruzione di fiducia e degli elementi che invece la ostacolano. Prevede azioni di contrasto alla povertà materiale ed educativa, con uno guardo sia alle domande che ci rivolgono i “poveri” sia a quelle di tutta la comunità, che prima di essere animata chiede di essere ascoltata e conosciuta. Approvato da Caritas Italiana e finanziato attraverso i fondi Ottoxmille Italia della CEI, il progetto desidera alimentare, in tempi così difficili, anche il dialogo e la riflessione.


Per questo motivo abbiamo deciso di promuovere un incontro on-line tra il nostro Vescovo e l’Assessora alle Politiche Sociali del Comune, Roberta Pinelli. Con lo scopo di avviare un dialogo tra le istituzioni; per interrogare noi stessi e tentare di riconoscere assieme le urgenze sociali che oggi ci si presentano, nella visione della “ecologia integrale” cara a Papa Francesco.


In queste settimane viviamo nuove importanti e necessarie restrizioni per contenere la diffusione del virus. Come Caritas siamo obbligati a prendere contatto con la difficoltà di centinaia di cittadini che prima della pandemia non versavano in una condizione di disagio; abbiamo il dovere di comprendere le loro reazioni e cercare il modo di gestire i problemi che incontrano.


Una prima sfida crediamo sia quella di aiutare noi tutti, la Chiesa ma anche le istituzioni civili, ad avere una rappresentazione chiara della situazione, per riuscire a promuovere una conoscenza e una solidarietà rispettose dell’individualità di ciascuna persona.


Non sottovalutiamo la gravità del compito di chi è chiamato a decidere per la tutela della nostra salute. Anzi, ne abbiamo profondo rispetto. E comprendiamo quale angoscia possa provare nel dover prendere decisioni che provocano insoddisfazione e disagi per molti. Ma ci pare anche di poter osservare come spesso vi sia la tentazione di prendere tali decisioni una volta per tutte e per tutti, generando senza volere ingiustizie che si potrebbero evitare. Don Lorenzo Milani scriveva: «non vi è più grande ingiustizia di fare parti eguali fra diseguali»; a volte sembra che la preoccupazione spinga a decidere invece che a scegliere. L’etimologia di decidere ha la stessa radice di recidere; talvolta pare che la necessità più urgente sia di “tagliare”, di anticipare il futuro più che di andargli incontro. Le domande che dobbiamo porci sono le seguenti: queste decisioni fanno davvero i conti con la realtà che determinano? Quanto prendono in considerazione le ricadute che causano?


Dobbiamo recuperare le preoccupazioni espresse da Papa Francesco nell’Evangelii Gaudium, specialmente nella quarta parte dell’Esortazione Apostolica.


L’appello che lanciamo è di prestare attenzione alle richieste di aiuto che ci giungono sempre più forti da diversi settori della popolazione; da donne e uomini che, partendo da condizioni molto diverse, vivono oggi una precarietà e un’insicurezza che può divenire sfiducia nei confronti del prossimo e delle istituzioni. Dovremmo sempre tenere presente che la promozione del benessere e della salute non si esaurisce nella prevenzione della malattia e del contagio.


Cone Chiesa crediamo sia doveroso vigilare affinché certe “razionalità organizzative”, necessarie e anche utili, rimangano al servizio della singolarità di ciascun individuo e non finiscano nell’uniformare tutto e tutti. Non è in discussione l’importanza di contrastare la pandemia, ma non possiamo minimizzare questioni che non è esagerato definire vitali. Si tratta del benessere psichico delle persone; di un costo sociale che ingiustamente ricade sui più fragili e in particolar modo sulle donne; della socialità e dell’affettività mutilate degli adolescenti. Con le ripetute chiusure delle scuole e una didattica che, più che a distanza, si rivela distante dalle esigenze educative e culturali dei nostri figli, possiamo purtroppo osservare quanto sia lontano il tempo di una alleanza tra scuola, famiglie, istituzioni e territorio capace di considerare le esigenze di centinaia di bambine, bambini e adolescenti.


Riteniamo quindi urgente porre come centrale il tema della fiducia, e su questo stimolare il dibattito e confrontarci con le altre istituzioni. Una fiducia che non è cieco affidarsi a qualcuno o qualcosa, né solo contrasto ad una dilagante “cultura” della diffidenza e del sospetto. Vorremmo che il nostro progetto diventasse un laboratorio condiviso tra Caritas, Parrocchie, Servizio sociale territoriale, scuola, servizi sanitari. Un laboratorio per circoscrivere il perimetro della fiducia possibile, come è avvenuto per l’approvvigionamento di beni alimentari e di prima necessità durante il primo lockdown. Una fiducia circoscritta forse è in grado di mettere radici più profonde proprio perché si fonda su accordi minimi, questioni singole e particolari, comprensibili da chiunque e rispettose delle differenze di ognuno. Dove trovare il coraggio di rimettersi in gioco e vedere un po’ alla volta ciò che accade. Per conoscere di più e meglio, ma mai per sempre, l’altro da noi, la realtà che ci circonda, la città invisibile.


Se riusciremo a praticare un’esperienza “sufficientemente buona”, come la definiva Donald Winnicott, pediatra e psicanalista inglese, ad abbandonare la presunzione di possedere un modello per risolvere problemi che superano le nostre possibilità, forse potremo fidarci gli uni degli altri anche su questioni più compromettenti. E a trovarci meno soli di fronte alle nuove sfide, sanitarie e sociali, che sappiamo prossime a presentarsi.



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