«Cultura e carità» ricordando Srebrenica
- Caritas Modenese
- 13 giu 2021
- Tempo di lettura: 2 min
Aggiornamento: 1 lug 2021
di Estefano J. Soler Tamburrini

“Martedì 8 giugno ha avuto inizio la rassegna culturale estiva promossa da Caritas diocesana. Al primo incontro, i presenti al teatro del Tempio sono stati presi per mano da Roberta Biagiarelli e condotti in un viaggio sui sentieri della memoria che riporta all’estate del 1995, quando i fantasmi del genocidio si ripresentarono sull’altra sponda dell’Adriatico. Poche ore prima, anche il tribunale internazionale dell’Aja ha pronunciato la parola «genocidio» per riconoscere ciò che era già uno stato di fatto, condannando in appello, e quindi in via definitiva, il generale Ratko Mladic. Fu lui l’ideatore dell’intervento militare in cui 8.732 bosgnacchi, tutti uomini, e in età comprese tra i 12 e 77 anni, sono stati uccisi per opera dell’esercito della Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina. Queste violenze hanno anche prodotto più di 47mila sfollati da Srebrenica e Zepa e circa 700 rifugiati in Serbia. Il legame di Roberta Biagiarelli con la terra di Srebrenica risale a circa ventitré anni fa, quando l’attrice decise di recarsi direttamente in Bosnia per raccogliere le storie, testimonianze e riconoscere, da vicino, i volti delle vittime. È questa prossimità a permetterle di andare oltre la freddezza dei dati storici e illustrare, nel suo monologo, il dramma di una guerra che ha diviso vicini di casa, ha separato intere famiglie e ha dissanguato il tessuto sociale dell’intera Bosnia.
Una volta concluso il monologo, l’attrice ha aperto il dialogo con i presenti e, riferendosi alla situazione attuale della Bosnia-Erzegovina, ha affermato: «Le due entità sono tutt’ora attraversate da faglie di tipo etnico che vanno dalla politica alla scuola», aggiunge che «in assenza di prospettive future, i giovani continuano ad andare via e, da venticinque anni, la società continua a depauperarsi».
Il genocidio di Srebrenica rappresenta una pagina buia nella storia contemporanea in cui i vicini europei sono rimasti distanti dall’escalation di violenza che feriva il cuore del continente. Resta altrettanto fredda la posizione delle Nazioni Unite, che si mostrarono paralitiche di fronte alle violenze e discriminazioni che ebbero luogo nella “zona protetta”, la cui difesa fu delegata a un contingente ridotto di caschi blu olandesi.

Nel suo intervento, Federico Valenzano ha parlato della necessità di
«investire su eventi culturali al fine di contrastare la povertà educativa, evitando che nell’indifferenza collettiva qualcuno alimenti serbatoi di odio».
Investimento, questo, che mira a «comunicare, nel territorio, il nesso fra cultura e carità». Secondo il vicedirettore di Caritas diocesana, queste iniziative culturali «non sono momenti di distrazione per chi è schiacciato dai bisogni materiali, ma allestiscono contesti in cui sperimentare che “la parola fa eguali”, citando don Milani». È qui che la cultura ha il potere di sensibilizzare tutti, oppressori e oppressi (Freire), evitando che i primi rischino di desiderare la posizione dei propri carnefici (don Milani). «Srebrenica – storia di assedio» ci ricorda i pericoli dell’indifferenza: anticamera della disumanizzazione e atteggiamento che, come recita il brano Canzone del maggio di De André, può condannarci dinanzi alla storia in quanto «coinvolti nonostante noi continuiamo a considerarci assolti».
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